La grande sala ora era adorna solo di macerie. Le statue fatte a pezzi sotto i colpi degli eroi erano solo un vago ricordo. Il tempo aveva ridotto la magia che le animava, forse era l’unico reale motivo per la loro scarsa resistenza ma poco male. Sagar annusò l’aria intorno a se, voleva uscire da quella tomba. Le mura lo opprimevano più del necessario e gli mancava l’aria aperta, gli spazi sconfinati del suo luogo d’origine e per tanto, si mise in ascolto.
Jessenia, Cassandra e Keyleth non erano da meno, anche per loro uscire era diventata una priorità . I quattro, annusarono l’aria, cercarono i segni che li avrebbero condotti verso l’esterno e quindi vi si diressero. Proseguirono verso nord, per poche decine di metri, poi voltarono a sinistra dopo una piccola rampa di scale che salivano si ritrovarono difronte un grosso portale in legno massiccio. Sagar fece sfoggio dei suoi muscoli possenti e si avventò contro la porta. I cardini non resistettero nemmeno al primo impatto ed in pochi minuti, i vecchi compagni erano tutti all’esterno.
La piccola radura antistante l’ingresso della tomba gli permise di organizzarsi, di recuperare un pò il fiato corto che la tomba gli aveva creato. Aranthor, una volta fuori dalla tomba, si rese conto che il suo antico compagno, la sua vecchia amica non era al suo fianco e così, chiuse gli occhi, inspirò diverse volte prima di trovare la calma ed infine gridò quell’immondo nome. In quello stesso momento, la terra tremò, una spaccatura divise i compagni.
Poi, infine giunse. Il cielo divenne buio, l’enorme uccello dalle piume nere con i bordi in fiamme volteggiava sopra le loro teste. Zolfo, fumo e morte erano gli odori primari che si potevano percepire. Gli amici si misero all’erta, non ricordavano l’enorme bestia e quando questa si gettò in picchiata, qualcuno aveva già sfoderato le armi. L’essere atterrò leggiadro, camminò per qualche passo e pian piano mutava forma. Le grandi ali divennero un mantello, il grosso busto si rimpicciolì a divenire quello di una donna mentre le zampe restarono tali e quali cercando un’armonia con il resto del corpo che non arrivò. La testa d’aquila divenne un cappuccio che nascondeva i tratti demoniaci del volto di donna e gli occhi neri profondi concorrevano a rendere ancora più tetra l’intera figura.
Aranthor, sorrise, il circolo di protezione che aveva creato con la sua mente intorno a se e a quello dei suoi compagni era ben solido. L’Arpia Demoniaca sorrise di rimando, qualche scambio di battute e suggellarono il nuovo patto con una profonda ferita sulla spalla sinistra del Warlock.
A patto concluso, la terra tremò ancora, più forte della precedente scossa. Il terreno si spaccò ancora di più, si sollevò e le due sponde si allontanarono ad una velocità tale che gli eroi non ebbero il tempo di pensare al da farsi. Un fiume di lava iniziò a scorrere nella fenditura ed a riversarsi nella loro tomba, presumibilmente distruggendo tutto quello che incontrava sul suo cammino.
Aranthor, Medrash, Amon e Sagar erano sul lato ovest mentre Jessenia, Keyleth, Cassandra e Tarhun erano sul lato est. Il rumore, troppo forte per permettere di chiamare i compagni dal lato opposto fu la spinta ad allontanarsi da quel luogo che potenzialmente stava per cadere completamente a pezzi. Sagar e gli altri quindi, costeggiarono la montagna alla ricerca di un passaggio verso l’alto che gli avrebbe permesso un punto d’osservazione migliore, la foresta alla loro destra gridava sotto il terremoto ma non se ne preoccuparono più di tanto. In poco tempo giunsero su un’altura, al confine della foresta sulla destra e con la grande vallata proprio davanti a loro.
Un piccolo villaggio era tutto ciò che si vedeva dalla loro posizione, con un piccolo Castello nel centro. Il cielo grigio non era foriero di buone nuove ma quella era l’unica cittadina a vista ed un tetto sopra la testa, con del cibo (anche scadente) erano un sogno che volevano realizzare. Si mossero in quella direzione, quando il Mezz’orco si accorse di un movimento nella foresta, si acquattò per osservare meglio e scorse dei Coboldi, in piccolo numero sei forse sette, che osservavano la cittadina.
Non curanti, i quattro vi si gettarono contro. Il grido di Sagar mise in allarme le bestie che prontamente si gettarono contro i nemici, Amon, Medrash e Aranthor restarono leggermente più indietro pronti a scagliare i loro potenti incantesimi. Il Warlock, chiamò a se l’Arpia ed essa rispose per onorare il patto, Amon cominciò ad invocare il suono che scagliò poco dopo il vorticare delle asce del mezz’orco. Il rombo del tuono spazzò via un coboldo, le fiamme provenienti dagli inferi ne disgregò altri e la potente ascia del barbaro ne distruggeva un altro ancora. Medrash, era rimasto indietro, non ebbe il tempo di partecipare al combattimento, la sua attenzione era focalizzata su tutt’altro. I pochi secondi che ci vollero per spazzare via l’inutile minaccia, furono sufficienti per il Dragonide di mettere a fuoco ciò che si muoveva nel cielo. L’enorme Drago Blu uscì dalle nubi nere, il Dragonide lo indicò ai suoi compagni e tutti insieme videro il grado di distruzione che una bestia di quel tipo poteva portare. La piccola cittadina, divenne un cumulo di macerie in pochi minuti e quell’incontro fortuito con i Coboldi, gli aveva letteralmente salvato la vita. Ringraziarono sommessamente gli dei e poi, presero la via della città diroccata che gli avrebbe dovuto dare conforto per le prossime notti.
Nel frattempo, dal lato opposto della frattura Jessenia e gli altri, decisero di allontanarsi. Non c’era modo di attraversare la spaccatura senza rischiare la vita. Proseguirono verso est per qualche chilometro fino a raggiungere l’altura e poter osservare ciò che la vallata aveva da offrire. Alcuni piccoli villaggi ed una grande città parecchio lontana. Le notti all’addiaccio non erano ciò che speravano di ottenere ma non avevano molte possibilità . Impiegarono giorni prima di raggiungere il villaggio più vicino, poche decine di case ed una sola locanda a disposizione. L’Unicorno Nero era un posto per pochi avventori, aveva giusto giusto quattro camere disadorne e poteva offrire un pasto caldo all’occorrenza. Rangrim, non era il buon oste che ci si aspetterebbe in una locanda soprattutto considerando la totale assenza di avventori. Era burbero, caustico e tutto avrebbe pensato di vedere nella sua locanda tranne un Dragonide in compagnia di due Elfe ed una Mezzelfa.
Diede loro le uniche stanze che aveva, dell’acqua calda per ripulirsi dalla durezza delle notti passate all’addiaccio ed un pasto alla sera. Si mise seduto al tavolo con loro, tanto non c’era molto altro da fare. La locanda non era frequentata da nessuno da quando una banda di goblin assaltava i paesi nei dintorni per saccheggiarli degli averi, di vettovaglie e di cibo.
La conversazione, ebbe un cambiamento quando Jessenia e gli altri notarono in Rangrim una sorta di rassegnazione, il paese era troppo piccolo per avere delle guardie e troppo lontano dalla grande città per richiedere un supporto. I contadini non avevano esperienza in fatto di combattimento eppure, questo nano ne aveva viste e vissute di battaglie. Così, la Ranger si offrì di aiutarlo, così come fecero anche il Warlock e le due Druidesse. Rangrim spiegò loro che ogni notte si perpetrava il saccheggio e quella sera, non avrebbe fatto eccezioni. Consigliò un buon riposo a tutti mentre lui avrebbe aspettato l’arrivo dei mostri.
La notte non fu l’eccezione che sperava il nano e puntuali, i Goblin in sella ai loro animali Cani e Cinghiali si palesarono alle porte della città . Il vecchio nano, armato del suo Fido Martello a forma di ariete, con lo scudo imbracciato e l’armatura indossata era al centro della piazza principale. Con tutta la forza e la voce che potè tirare fuori, attirò l’attenzione dei mostri e chiamò l’attenzione degli eroi che l’avrebbero aiutato a tirar via dal suo piccolo paese quelle creature vomitate dagli incubi più orrendi.
La carica delle bestie faceva tremare il terreno, ma anche la carica del nano non era da meno e mentre lui si apprestava a piantare l’arma del petto di qualcuna di quelle creature, Jessenia, Cassandra, Keyleth e Tarhun si gettarono in piazza. Keyleth evocò il potere violento della natura e la frusta ammantata di spine non tardò a saettare contro i suoi nemici poco dopo che il martello di Rangrim fracassò il petto di uno degli assalitori. Cassandra evocò invece il potere benevolo della natura, parlò all’animale sotto il goblin ed esso l’ascoltò, le sue parole furono convincenti e tornò indietro con il suo cavaliere ancora in groppa. Jessenia incoccò le frecce ma nella concitazione della battaglia non riuscì a tenere una concentrazione adeguata. Dell’assalto iniziale, ora restavano solo quattro goblin e finalmente, un sorriso di soddisfazione si era manifestato sul volto del nano.