Lex, Emilie e Jack tornarono alla villa del dottore. Il maggiordomo e le cameriere si presero cura dei due ospiti offrendo loro una stanza e dei vestiti puliti per riprendersi dalla notte pregna di violenza e sangue e mentre i due riprendevano un pò della loro umanità , Sophie, Frederick e Edward arrivarono proprio alla villa. Un briefing, qualche ora di riposo e pronti per tornare proprio in quel capanno dove il poliziotto era stato portato insieme ai cadaveri dei combattenti.
Alle cinque del mattino mancavano ancora quaranta minuti eppure loro volevano essere lì per tempo, quelle parole ascoltate al Tamigi’s Dante erano preoccupanti, qualcosa a quell’ora sarebbe accaduto. Il cancello della tenuta poco fuori Londra era aperto completamente, tracce di pneumatici erano ben visibili nel terreno polveroso ma poco altro. La luna, non riusciva ad illuminare il terreno circostante per via di diverse nuvole stazionarie nel cielo. Attesero, non vi erano movimenti nei dintorni e Jack il Pugile fremeva, i suoi nervi erano a fior di pelle, voleva l’azione forse era ancora qualche rimasuglio della droga del dottor morte gli girava ancora nel sangue, forse era per via del combattimento e dell’adrenalina che scaturì, forse perché era semplicemente Jack dalle Mille Vite. Fatto sta che non resistette in macchina oltre dieci minuti. Uscì, si diresse al cancello e guardingo entrò. Il terreno sconnesso, l’erba alta, due o tre piccoli alberi e la luna latitante furono ottimi compagni dello scrittore. Si mosse rapido e furtivo, non creava nessun rumore con i suoi passi felpati, il combattere in un arena lo aveva reso abile a volteggiare come una farfalla e così raggiunse metà del tragitto, non vi era ombra di cani quando in realtà se ne aspettava almeno un paio e fu quando il suo piede si appoggiò su un piccolo tasto nel terreno che il suo sangue si raggelò. Non aveva idea di cosa aveva premuto ma non era una cosa buona.
La Tellermine 29 era proprio sotto il piede destro del pugile che avendo sempre glissato la leva militare non immaginava fosse qualcosa di così grave. Non se ne curò, si abbasso per capire meglio di cosa si trattava e togliendo quel pò di terra che c’era sopra scorse scritte in tedesco. Non sapeva leggerlo ma ne riconobbe i tratti. Si guardò intorno, l’erba alta aveva diversi buchi, zone in cui non vi era traccia di piante e la terra era smossa, tutto il campo era minato.
Edward era poco più paziente di Jack ed attese oltre l’uscita del pugile solo cinque minuti, poi corse verso il cancello. Non c’erano movimenti ed il pugile accucciato per vedere cosa ci fosse sotto il suo piede fu invisibile nella notte. Il poliziotto sfrutto il vialetto, le tracce di pneumatici erano ancora abbastanza evidenti e pensando che il pugile fosse già arrivato sulla collinetta non perse tempo. Fu a metà strada che venne attirato da un movimento, Jack si era appena alzato dall’erba con in mano la Tellermine che Edward non tardò a riconoscere. Il poliziotto fece un paio di passi nella direzione dello scrittore con la bocca aperta pronto a gridargli di restare fermo quando il folle alcolizzato tirò l’ordigno. Il peso, lo shock, il tentativo di evitare che esplodesse, il cervello fuori fase dall’oppio furono tutti elementi che fecero muovere Edward verso la mina anziché lontano da essa.
La forza con cui era stata lanciata atterrò l’uomo ed i click dei pulsanti d’attivazione lo impietrirono. Maledisse il pugile con tutta l’anima, tanto che il cielo si illuminò di fulmini per quei brevi istanti, come se Dio stesso avesse risposto alle sue imprecazioni. Trasse un respiro, le Tellermine le conosceva, non sarebbero esplose finché i pulsanti erano premuti. Fu l’arrivo di Sophie, Lex, Frederick e Emilie che cambio le carte. Nessuno voleva lasciare il poliziotto alla mercé di una mina con tutte le sue conseguenza, già aveva perso qualche battito di cuore nel vedersela lanciata e sentire il pugile che gridava che era finta non lo aiutava per nulla. Non ne sapeva niente quell’idiota, forse Emilie poteva conoscere l’ordigno tra loro ed il fidanzato di Sophie morì proprio sopra una di queste. Il tempo passava e loro erano lì, in attesa che succedesse qualcosa. Infinite, la molla dell’impazienza scattò nella testa di Edward, l’oppio aveva ancora una volta ottuso i suoi sensi e con un gesto rapido tanto quanto lesti furono i suoi compagni a gettarsi lontano dalla mina che la gettò di lato. I cuori di tutti si fermarono per pochi, interminabili, attimi. Tutto si fermò, tutto restò immobile nel tempo. Lo scoppio era tutto ciò che si aspettavano seguito da lancinanti dolori per culminare con la morte atroce di tutti o di molti. Non successe nulla. La mina inerme giaceva a pochi metri dal poliziotto, il sudore imperlava il suo volto, la camicia era madida dei fluidi della pelle ed il fiato era corto. Impazzito si avventò contro il pugile per lo stupido gesto che aveva compiuto, sarebbero potuti morire tutti. I due si guardarono in cagnesco per lunghi minuti, non vennero alle mani solo perché vennero separati e poi perché un  rumore di auto aveva attirato la loro attenzione. Mentre tutti andavano verso il rumore, Edward tracollò a terra. Lo stress della mina era stato solo parzialmente mitigato dalla droga e dall’adrenalina e quando questi vennero meno, il cervello dell’uomo si spense.
La Imperial Sedan era stata opportunamente modificata, i vetri posteriori erano stati sostituiti con placche di ferro e due negri nell’atto di scaricare un’altro paio di corpi mentre uomini incappucciati raggiungevano il capannone entrandovi. Jack voleva raggiungere i due energumeni e sfruttò l’inerme corpo del poliziotto in un lago di sudore e fango. Lo prese per i pantaloni ed iniziò a trascinarlo verso i due. Il fisico scafato, la lotta della sera all’arena ed il “cadavere” di un uomo non fecero insospettire i due che si stavano accedendo una sigaretta. Lo scrittore era abile con le parole, il tempo stringeva e non poteva permettersi di affrontare da solo questi due, non dopo tutto quanto era accaduto fino a quel momento. Fu la sua lingua però a mettere pace all’animo violento che stava montando in lui, istigò i due parlando di una paga misera, li portò dalla sua parlando dei diritti, del lavoro sporco che erano stati chiamati a fare e per la più totale assenza di riconoscenza o gratitudine. I due non impiegarono molto a cambiare bandiera passando sotto quella del Mille vite. Le parole di lui insieme ad una fetta dell’affare e qualche soldo in più fecero si che i due si unirono per quei brevi istanti alla causa.
Emilie si avvicinò al portone chiuso, fucile spianato e sparò un colpo sulla serratura. Il boato seguito da un calcio possente furono sufficienti a spalancare le ante e mostrare i 6 tizi incappucciati sul fondo del capannone. Tutti i corpi erano già spariti, vi era solo tanto sangue a terra e nulla più oltre la parete alle spalle degli incappucciati completamente nera. Un buio senza fine ed un silenzio assordante erano spezzati solo da un falò poco davanti agli incappucciati e dalla loro cantilena. Sophie, entrata per ultima, si guardava intorno. Le pareti erano colme di un antico linguaggio azteco, lo stesso presente sulla maschera cerimoniale del British Museum e la cantilena le ricordava un vecchio manoscritto ritrovato insieme alla maschera che pochi erano stati in grado di trascrivere.
Qualcosa si mosse nell’oscurità della parete. La tensione era palpabile, i due negri di supporto se la fecero sotto ma loro erano uomini e volevano più soldi così corsero verso i tizi. Sophie non ebbe il tempo di avvisarli che le loro carcasse caddero a terra non appena entrarono nella luce del falò. Sophie, ricordò gli scritti su quel vecchio manoscritto, la cantilena era tutto ciò che le veniva in mente in quel momento e seguì il flusso, Emilie aveva accennato al medaglione trovato nella stanza dello Squalo e lo tirò alla studiosa.
La donna iniziò a cantilenare sempre più forte, avvicinandosi sempre di più al falò. Sfregava con il pollice il simbolo inciso sopra al medaglione come a cercare conforto più che come reale aiuto nella contro-evocazione. Il manto giallo iniziò a manifestarsi nella tetra parete buia, il volto ammantato nella seta gialla iniziò a prendere sostanza e Sophie, mentre gli altri erano con il fiato sospeso era ad un passo dal limite della luce che aveva ridotto in carcasse i due sgherri di Jack. La professoressa continuò a cantilenare e ad avanzare e le fiamme e la luce si ritirarono. Ad ogni passo la luce e le fiamme erano sempre più fioche fino al momento in cui la sua voce era così alta da sovrastare la cantilena dei sei e con un gesto rapido e forte scagliò tra le fiamme il simbolo dell’antico.
Un’esplosione di ombre e luci avvolse tutti, tutti restarono senza vista per pochi lunghissimi attimi fino al momento in cui, tutto tornò normale. Gli incappucciati giacevano in polvere oltre il fuoco, la parete stava tornando alla sua normalità ed il Re Giallo, il Sommo Sacerdote che non può essere descritto, stava tornando al suo piano immateriale. Tutto durò poco meno di un battito di ciglia per per Lex che non riusciva a distogliere lo sguardo dal velo dorato sembrò molto di più. Inspirò il fumo nero e denso che dalla parete aveva pervaso tutta la stanza e nell’attimo finale, tutto divenne buio. Tutto divenne ovattato. Tutto divenne solo un ricordo.
Quando il sole iniziò a filtrare dai piccoli lucernari, il dottore, la detective, il poliziotto, la professoressa, il fotografo e lo scrittore si ridestarono. L’intero capannone era avvolto dal calore dei salubri raggi solari, l’aria fresca del mattino aveva sostituito quella pesante delle ore precedenti. Tutto, ora, sembrava molto più naturale di quanto non lo fosse mai stato.