Jack aveva già caricato lâAlgorythm Gest89C, non era certamente lâarma migliore del suo arsenale ma nel rapporto Potenza-Gittata-Precisione-Manegevolezza non aveva pari. Non appena il velivolo atterrò sulla pista sgombra, il Proxy scese rapido arma alla mano. Pochi metri, rapide occhiate alla struttura. Tutto era sgombro, non c’erano segni di movimento. La luce del sole rifletteva sulle finestre della struttura, vetri oscurati per evitare che il calore si propagasse all’interno, un interno già infuocato dai processi di estrazione e produzione dei carburanti.
Il cenno militare di “via libera” fu recepito dagli altri Proxy, Emma semplicemente li seguì. Le VesselX9 erano pronte a far fuoco ad ogni minimo movimento, lo stesso valeva per la Gest89C di Jack. Emma, non ne aveva bisogno, la sua arma la indossava, fluttuava insieme a lei, viveva insieme a lei, era lei.
Le tre zone della piattaforma-server erano accessibili da enormi portelli pressurizzati, le incisioni sopra ognuno di essi indicava la zona dove conducevano. Il centrale, fu quello scelto da Jack che era il leader della spedizione in quel momento ed era forse quello con la maggiore esperienza in tattica in ambienti di quel tipo.
Prese il corridoio oltre l’ingresso IV, le luci intermittenti, le piccole feritoie dove un flebile raggio di sole riusciva a filtrare per un vetro oramai consumato era tutto ciò che poteva chiedere per avere un’illuminazione assolutamente inadeguata. La sua vista faceva fatica ad adattarsi. Le vecchie luci a led erano state sostituite con le più vecchie al neon, almeno non tutte. Scintille elettriche venivano sparate come proiettili ad ogni alternanza Luce//Buio. L’oscurità , era una certezza.
Jack continuò guardingo, una svolta, poi le scale. Alzò il braccio e serrò la mano a pugno, tutti si arrestarono ed attesero armi tese. Nessun rumore oltre le scariche elettriche delle luci ed il respiro dei presenti. Jack iniziò a scendere, lentamente, puntando l’arma sempre avanti a se, mirando e tenendo il dito sul grilletto pronto a far fuoco ad ogni cosa rappresentasse una minaccia. Tutto era troppo tranquillo e la tranquillità ha portato il topo in trappola.
#NIRVANA_LOGON: Richiesta controllo dati.
â¦23 secondiâ¦
â¦12 secondiâ¦
Dati confermati. Presenza umana 95%. DNA puro 95%. Presenza Hekath NON RILEVATA.
#NIRVANA_LOGOFF
Nirvana confermò tutto ciò che già sapevano ma era strano. Troppo. Jack continuò a scendere. Daisy, fu l’ultima ad entrare. L’ultima che Black riuscì a scorgere.
Le placche protettive posteriori del velivolo si sganciarono completamente, il vapore venne sputato fuori per la pressione. L’Hydrah si mosse dalla sua posizione ed i cavi di bioconnettività si sganciarono. Un liquido scuro cadde a terra macchiando il pavimento. Black, il cui colore della pelle rispecchiava esattamente il nome al pari delle trecce di cavi elettrici a rappresentare dei dreadlock di un tempo che fu, si mosse. Si sganciò da quella navicella che rapidamente riuscì a riparare su Atlantis, si sganciò da quella navicella che per tutto il tempo aveva tenuto in volo benché perdeva pezzi ad ogni raffica di vento. Sospirò, gli umani una volta lo facevano e forse lo fanno oggi i LostH. Appoggiò la mano sul pannello di controllo della navicella, nei suoi occhi apparve il Bios ed essa rispose. I comandi furono di riattivare il sistema di autoriparazione e tenere i motori in stand-by per ogni evenienza. I labordroidi si sganciarono con sonori clang e passarono alla riparazione del velivolo, era meglio essere pronti ad ogni evenienza.
Con gli occhi, vide Daisy entrare nell’enorme struttura e lui si mosse in quella direzione. I passi erano lenti, doloranti, attivò il sistema di bypass del dolore. Un liquido verde entrò in circolo e nel giro di pochi attimi, il tutto fu meno doloroso. L’oscurità , la luce tremolante, i passi dei Proxy e dell’Obscura erano tutto ciò che si sentiva. Vide ancora Daisy prendere le scale. La chioma rossa era riconoscibile tra mille, esattamente come la circonferenza del suo cranio, l’altezza, il peso, il rapporto di massa muscolare ed ogni altro dato che poteva consultare nella sua banca dati. Proseguì. Passi letti, metallici a fasi alterne. Giunse infine alle scale e scese.
Jack era in avanscoperta, i suoi compagni alcuni metri più indietro. Non erano soldati come lui, non erano preparati a dar battaglia come lui, non sapevano muoversi in quell’oscurità ma lui si, sapeva farlo e bene anche. Allungò il passo, svoltò a sinistra, poi forse a destra e si ritrovò davanti un lungo corridoio. Nirvana gli mandava indicazioni, davanti a se, ad oltre 50 metri c’era la stanza dove avrebbe trovato TYM. Gli altri erano troppo lenti e proseguì da solo. Decine di porte chiuse ai lati del corridoio, nessuna realmente interessante. Solo quella giù in fondo, quella con la scritta T.Y.M. chiaramente distinguibile. Nirvana confermò la presenza del bersaglio oltre quel varco. Jack si mosse verso di esso, guardingo. La sua Gest89C fu ridotta ad una VesselX9, più maneggevole e precisa seppur meno potente. Le ombre si muovevano sotto la musica delle scintille delle luci, una danza che stava mettendo a dura prova i nervi del Proxy. Respirò, non c’erano pericoli ed i battiti era meglio tenerli al sicuro. Era una missione facile…troppo facile. Fu alla fine di questo pensiero che le ombre iniziarono a muoversi. Si muovevano fuori sincrono rispetto all’intermittenza della luce, attraversavano il corridoio ed erano sempre più veloci e soprattutto vicine. L’arma era puntata ma Nirvana continuava a dire che non c’era pericolo. Jack non sparò ma quando i suoi sensi lo avvisarono di un pericolo tutto il suo corpo si mise in azione.
La lama di coltello si appoggiò sul costato. Il freddo metallo non raggiunse i sensi del Proxy ma fu sufficiente l’idea di questo evento per metterlo in movimento. Non poteva rischiare che altre ombre, in quel corridoio lo separassero dal suo obiettivo. Imprecò, invocando il nome di un dio di una memoria ancestrale. Fece silenzio, respirò più in profondità , ed arrivò a quel suono…5…6…7. Il battito del cuore si propagò tutt’intorno, la sua tuta accelerò al punto che la lama fu solo un vacuo ricordo. Schivò le ombre che lo stavano ghermendo, una, due, tre. Ruotava su se stesso, saltava, si abbassava ma l’oscurità era sempre più presente e con quel battito trasformò il suo stesso corpo, cambiò la vibrazione, fino a cambiare fase e cadde nel corridoio sottostante che aveva raggiunto nella corsa. Un’azzardo ma funzionò. Cadde e rotolò, fermandosi dopo alcune capriole e con la VesselX9 puntata in ogni direzione. Imprecò ancora. Nirvana continuava a dire che non c’erano pericoli, ne Hekath, ne altro al di fuori di TYM che ora era un piano sopra a lui. Imprecò per l’ennesima volta e continuò verso quella direzione.
Emma vide Jack allontanarsi, svoltare. Daisy ed Alex erano rimasti indietro. Stupidi cloni. Uno era andato troppo avanti, gli altri troppo indietro. Svoltò cercando di raggiungere il primo, alla fine sembrava quello messo meglio in fatto di tattica militare. Quando giunse in fondo alle scale, dello stupido clone non v’era traccia. Il corridoio si estendeva da ovest ad est, ma quella luce in fondo era invitante. Al primo passo in quella direzione l’Obscura potè vedere oltre. L’oscurità celava qualche segreto. Si arrestò, strinse il suo cappotto, esso non mandava alcun segnale e la sua anima hekath le stava dicendo che TYM era proprio in fondo a quel corridoio. Guardò la fessura luminosa come avrebbe fatto una falena nelle notti d’estate, quelle stesse notti che passava insieme a suo marito, alla sua vita da LostH. S’incamminò verso la stanza, l’insegna luminosa era distinguibile nonostante la distanza e l’oscurità : TYM. Ansia. Le ombre iniziarono a muoversi. Cosa stava accadendo, non c’era pericolo a detta di quegli stupidi Proxy ed ora nemmeno ci sono. Come al solito, avrebbe fatto da se. Corse, mutò la forma del suo cappotto, si avvolse intorno al braccio estendendolo, affilandosi e diventando l’arma che aveva immaginato. Raggiunse l’ombra che aveva difronte, veloce più del pensiero che gli servì per trasformare il suo lato oscuro, ma quando la lama raggiunse il fianco di questa essa scomparve come fosse l’immagine residua di qualcosa di troppo veloce per l’occhio. Fortunatamente, le ombre le stavano lontano, sembrava la temessero ma questo, Emma, non lo pensò. TYM era  pochi metri da lei, la porta si stava già lentamente aprendo ed il taglio di luce da essa l’accecò per qualche istante.
Black stava scendendo le scale, il rumore metallico attirò l’attenzione di Daisy e di Alex che stavano cercando di comunicare con Emma e Jack senza riuscirci. La VesselX9 di Daisy divenne un calibro maggiore, se fosse stato un labordroide ad arrivare sarebbe stato necessario forse cambiare ancora. Per quel momento la RazorV9 era sufficiente. Alex e la Dart5H0 munita di torcia illuminarono meglio la zona delle scale. Black si fece illuminare completamente. L’Hydrah era in piedi, guardava i suoi compagni stupiti perché lui sapeva che erano lì, in fin dei conti come avrebbero potuto manovrare e tenere in piedi l’aereo senza di lui? Daisy riconobbe il cyberuomo, nella sua banca dati aveva tutte le informazioni ma non abbassò l’arma, gli cambiò direzione ma le orecchie erano tese. Non voleva ritrovarsi con dei mostri nel buio davanti a loro ed un mostro alle spalle. Alex non fu da meno. Si voltarono, raggiunsero il pianerottolo e si guardarono intorno. Emma e Jack erano spariti, il corridoio, non troppo diverso dagli altri, era corto, poche porte chiuse e la luce intermittente sopra l’unica porta che si stava aprendo.
Jack seguì le mappe che Nirvana gli aveva mandato, le ombre erano sempre più insistenti ma non lo furono abbastanza da impensierirlo. Si trovava proprio sotto la stanza di TYM. Superare i diversi centimetri di Ferro-Cemento non era impossibile ma il tempo, quello che supponeva averne a sufficienza, in realtà stava scadendo. Le ombre, quelle ombre che Nirvana non riusciva ad identificare come un pericolo si muovevano rapide, troppo. Portò ancora il silenzio dentro di se, un forte boato venne percepito da tutti gli altri, ma in lui ed intorno a lui non ci fu altro che il silenzio. 3…5…7, il tempo del suo battito. Allargò le braccia fino al loro limite, chiuse le mani come ad afferrare stoffe invisibili ed iniziò a ruotare su se stesso. La realtà , la stoffa immaginaria che teneva tra le dita della mano si piegò al suo volere. Un secondo boato ed altrettanto silenzio. Il soffitto iniziò a piegarsi sotto il volere del Proxy, la realtà mutò al punto che tutto ciò che era sopra di lui divenne qualcosa di simile ad uno scivolo, il pavimento o soffitto si trasformarono al punto che avrebbe fatto scendere TYM come su uno scivolo da parco giochi. Tutto quello che ottenne però, non fu TYM, bensì un fiume di sangue, escrementi, parti umane e non. Il fiume di materia organica lo invase, se avesse ingurgitato qualcosa prima di quella vista, il suo stomaco l’avrebbe rimessa. Un braccio mozzato si fermò sulla sua caviglia, inerme, semi-putrefatto, strappato letteralmente dal corpo cui era attaccato ma di TYM, non v’era traccia. Jack alzò lo sguardo e lo spettacolo che lo colpì non era dei più rassicuranti, ma in quel momento aveva ben altro a cui pensare. Le pareti intorno a se, iniziarono a sgretolarsi, a mutare, a trasformarsi. Non era lui che le stava cambiando, non era sua l’intenzione di farlo eppure stavano cambiando. Alcuni esseri dalla forma insettiforme fuoriuscirono dalle pareti, loro erano le pareti. I mostri meccanici si avventarono sul Proxy.
Emma vide aprirsi la porta ed in quello stesso momento, quando il suo guardo riuscì ad ambientarsi alla luce che proveniva dalla stanza il suo cuore si strinse. Lo spettacolo era raccapricciante, pezzi di carne attaccati ovunque, macchinari e cavi sorreggevano un corpo che definire vivo era un eufemismo. Il corpo senza pelle di quello che forse era TYM emanava un odore di morte che mai prima di allora Emma aveva sentito, i muscoli e la carne viva stavano procurando lo stesso dolore anche a lei eppure non potè smettere di fissare quegli occhi. Poi, quando quegli stessi occhi risposero, il suo nome venne pronunciato “Emma”.
Un brivido lungo la schiena dell’obscura, non poteva essere, non voleva crederlo. I lineamenti, gli occhi, il colore. No, non era certamente il marito. Non potevano averlo ridotto così, ne era certa. Mentre osservava il dolore che l’aria provocava sulla pelle di quella “cosa”, il suo lato umano prese il sopravvento. Doveva fare qualcosa e quel qualcosa era porre fine a quell’esistenza magra ed indegna che le macchine gli avevano concesso. Con la lama ancora pronta, si avventò sull’umano non più tale.
Daisy, Alex e Black non erano molto distanti. Videro tutta la scena raccapricciante, come videro anche il moto di compassione di Emma ma non potevano permetterle di fare qualcosa di così tanto stupido. Quel genoma gli serviva, per quanto dolorosa era la situazione. Black si avvicinò ad uno dei pannelli di controllo.
# LOADING … BIOS … IEWU24349XSU.01
# CONTROLLO ACQUISITO
# \\MOVE \ SERVO-BRACCIO -DX -SP24-STR18 -X2324S45 -Y7856472D3
# LOADING … BIOS … COMPLETE
Il servobraccio di controllo nella stanza si mosse verso la lama dell’obscura, contemporaneamente Daisy creò il suo silenzio. Non sapeva quanto veloce sarebbe potuto essere Black, non l’aveva mai visto all’opera. Non poteva rischiare, c’era la sua salvezza in gioco, c’era il suo posto in paradiso sul piatto, c’era anche Lei tra le cose che avrebbe avuto modo di riavere. 5…6…7, eccoli i battiti di cui aveva bisogno. Tese la mano, direzionandola verso Emma ma puntandola sulla linea di colpo della sua arma. Era un azzardo, lo stesso azzardo che ha generato un terzo boato di cui lei non sapeva assolutamente nulla data la concentrazione necessaria. La zona infradimensionale della Realtà a 6 assi era tutto ciò che in quel momento gli venne in mente. Unire due lati dello stesso ambiente riducendone lo spazio, ma fu troppo frettolosa e non si rese conto che lo spazio ridotto dava direttamente sull’esterno.
Le mura e praticamente ogni altro oggetto cominciò a collassare, a mutare a trasformarsi in quegli scarabei che Jack stava disperatamente evitando. Chiuse gli occhi, riprese a respirare, il boato che aveva dato inizio allo sgretolarsi totale della piattaforma server non doveva essere peggiorato ma tutto doveva finire. Jack si interfacciò di nuovo a Nirvana.
# NIRVANA_LOGON
# LOADING COMPLEX ALGORITHM
# LOADING COMPLETE
# NIRVANA_LOGOFF
L’arma, il Vortex-Spit-W10 era tutto ciò che gli venne in mente. Uno sparaproiettili esplosivi che avrebbero annichilito anche i LaborDroidi Titani se avesse realmente avuto il tempo di farlo completo, ma il tempo non c’era. Gli scarabei gli erano addosso ed i loro morsi, erano letali.
Alex aveva lasciato la battaglia a chi la sapeva fare, lui non era come gli altri, la sua missione era il DNA e quello avrebbe recuperato. Corse, schivò pallottole, insetti, varchi spaziali, braccia robotiche e giunse alle spalle di TYM. La siringa l’aveva già in mano e non attese lo scorrere degli eventi che già la stava infilando nel corpo dell’obbiettivo. Forse non avrebbe avuto lo stesso valore, ma almeno quel DNA non sarebbe andato perduto completamente. Tirò. Il liquido penetrò nel cilindro metallico asettico proprio mentre lo spazio trasformato da Daisy deviava il colpo dell’obscura che aveva tranciato di netto il servo braccio mosso dall’hydrah.
L’ultimo proxy, salì su quel piano. La struttura stava cedendo. Le travi di idro-acciaio piovevano dal cielo non più sorrette dal Ferro-Cemento, ora mutato in insetti. Il cielo non era scombro, andarsene correndo era difficile. Ma forse, Daisy ebbe un’idea. Alex aveva il suo DNA, tutti loro avevano raggiunto l’obbiettivo ed era ora di andarsene.
Daisy non fu veloce come Emma. Emma dispiegò le ali oscure, mutandole dalla spada e volò verso la stessa uscita usata dalla proxy. Il volo non era facile, gli insetti le erano addosso, pezzi di ferro-cemento le rendevano difficile la manovra ma raggiunse la fessura spaziale, l’attraversò ma tutto divenne un turbinio ed uno schiantarsi al suolo disastroso. Il suo viso si bruciò sul cemento, le sue braccia si spezzarono al colpire la navicella di salvataggio ed il sangue le stava imbrattando i vestiti.
Jack stava cercando disperatamente di tenere lontani quei mostri, era difficile con quell’arma ma era l’unica che sembrava funzionare efficacemente. Si fermò, non poteva rischiare quanto accaduto ad Emma, respirò, creò di nuovo il silenzio, oramai i danni erano stati fatti, uno in più non avrebbe creato nulla di peggio. 5…7…9…il battito del suo cuore fu tutto quello che gli serviva per allargare la fessura creata da Daisy. Così avvenne e così lui vi si potè gettare oltre.
La fessura più ampia diede a Daisy la sicurezza necessaria, corse verso la sua stessa creazione, quella fessura spaziale era tutto ciò che poteva chiedere per allontanarsi da lì. Vi corse incontro e vi si gettò all’interno. Era abbastanza grande da poterci passare. Atterrò in malomodo sulla piattaforma esterna ma non era certamente salva. Tutt’intorno a lei gli insetti robotici si muovevano per ghermirla. Centinaia, migliaia di quelle bestie meccaniche le si avventarono contro. Le due RazorV9 tra le sue mani cercavano di tenerle lontane ma i morsi erano lancinanti, non riusciva a tenerle ferme e le ferite si susseguivano una dietro l’altra. Jack la seguì, insieme sparavano e si dirigevano verso il velivolo. Dovevano andarsene. Alex sfruttò l’apertura aumentata da Jack per allontanarsi senza pericoli, ma qualcosa lo morse da sotto la tuta. Un dolore lancinante ma non capì cosa fosse, almeno non fino a quando vide muoversi sotto la sua stessa protezione delle “bolle”. Erano quei maledetti insetti. Diamine erano nel DNA di TYM. Si maledì per non aver controllato, tutto era uno stramaledetto inganno. Quel bug che pensava avesse Nirvana, ora sembrava essere più reale che mai, dannati virus informatici. Si maledì ancora. Corse via, raggiunse Emma e l’aiutò a salire.
Black era quello più lontano, quello in ritardo. Lui voleva assolutamente salvarlo TYM. Lo sentiva, così lo sganciò dai suoi supporti e lo innestò a se stesso. Non sarebbe sopravvissuto oltre. TYM sorrise ma Black non potè vederlo. TYM aveva già preso il controllo del BIOS di Black. I falsi messaggi che gli mandava lo tenevano fermo e senza di lui, la navicella non sarebbe mai partita, non sarebbe mai riuscita a sollevarsi. Jack si morse il labbro, forse ne uscì del sangue ma non ci badò. Il VanQuish5T4 ad impulsi elettromagnetici avrebbe fatto al caso suo. Caricò l’algoritmo, prese la mira, sparò
L’istinto di sopravvivenza di Black si mosse ma non abbastanza velocemente, le placche protettive si sollevarono ma oramai il colpo l’aveva raggiunto e si spense. Il BIOS cominciò il restart ed il recheck dei sistemi vitali. Il tempo necessario per Daisy di creare una Lama DX400 aspettare che l’HARP5 di Alex lo trascinasse abbastanza vicino e tranciare il collegamento con TYM. Black cadde a terra, TYM restò al di là della fessura spaziale. Il tempo che i sistemi si riavviassero e Black fu di nuovo operativo. Si guardò intorno, ci sarebbe stato tempo per ringraziare, se mai ci sarebbe stata la necessità di farlo. Jack e gli altri lo incitarono a raggiungerlo. La marea di insetti era alle sue spalle ma riuscì a salire sul velivolo, a dargli lo startup pochi istanti prima che il tutto crollasse. I sistemi non erano ancora operativi al 100%, soprattutto il sistema di propulsione aveva problemi che i labordroidi non furono in grado di sistemare prima della loro partenza improvvisa. Ora, la ExData più vicina era la loro unica speranza.
Il sole alle spalle, insetti oramai lontani dal loro creatore avevano cessato di ghermirli dissolvendosi in una pozza di liquido inerme. Il Nero Veterano era a poche ore di distanza ed il sonno si prese chi poteva dormire.