Sirene, vere questa volta. Macchine governative dai vetri oscurati giunti al limitare della grande piazza con un forte stridore di gomme. Agenti in nero che rapidamente iniziarono il transennamento dell’area chiudendo le vie di uscita per i quattro unici testimoni di quanto stava accadendo. Si, solo quattro, contò Jack includendo se stesso. L’altro uomo, quello con la piuma era uscito dal suo campo visivo pochi secondi dopo aver svoltato un angolo.

L’aria era pregna d’umidità, le intimazioni di ALT degli Agenti in nero erano sovrastate dal fragore di esplosioni, grida e detriti che cadevano al suolo. Ben chiari però erano i colpi di pistola che saettavano nella direzione dei presenti.

L’ex Marine che correva insieme agli altri, non li riconobbe subito, ma quando entrarono nel suo campo visivo, ogni volto veniva associato ad un nome, ad una storia, ad un ricordo. Non ci fu molto tempo per i convenevoli, la porta del grande palazzo era ben chiusa. La figura di un ragazzo magro che li scrutava oltre le ante di vetro era tutto ciò che si poteva scorgere di vivo nel palazzo e potenzialmente anche meno pericoloso dei colpi di pistola.

Non sapevano bene cosa fare. La porta sembrava chiusa ed il ragazzo non aveva intenzione di aprirla per loro. Dall’alto alcuni detriti cadevano dal nulla. Sordi boati si propagavano tutt’intorno e fu Jacko ad avere la peggio. Un enorme frammento delle Twin Towers si infranse sul selciato e schegge più o meno grandi saettarono ovunque ma, una piuttosto importante per dimensioni, colpì il braccio dell’uomo. In alto non si intravedeva che il cielo oltre delle strane vibrazioni accompagnate da suoni, immagini sfocate che divenivano sempre più nitide e reali. L’ex militare infilò le dita tra le due ante della porta, il dolore al braccio gli rendeva l’operazione difficile. Pochi centrimetri, appena sufficienti per far passare uno alla volta i suoi compagni; la prima fu Raven, seguita da Mark ed Erick che tennero la porta per far passare l’amico.

Misfit guardava le figure scappate all’apocalisse ed agli spari oltre quel portale. Gli sembravano familiari e difatti riconobbe subito Erick, titolare del the Phoenix, che aveva battuto qualche tempo prima in una scommessa, così come la ragazza, che aveva visto spesso nel suo locale. Riconobbe infine anche gli altri due come assidui frequentatori del bar di Erick. Tutti si guardarono e gli Agenti all’esterno erano sempre più vicini. Forse non erano loro l’obbiettivo, forse era tutto un malinteso, forse fuori c’era solo una rivisitazione cinematografica di quei tragici eventi ma i proiettili e tutto il resto erano ben al di là della semplice finzione.

Corsero tutti agli ascensori e la prima tappa fu il 19° piano. Non ci fu il tempo nemmeno di pensare o dire altro che le porte si erano già aperte sull’osservatorio. All’interno non vi era nessuno e lo spettacolo fuori era tremendo. Stavano rivivendo in prima persona gli attimi che hanno tenuto il fiato sospeso di milioni di persone. Loro erano lì.

Dal pavimento a vetri del 19° piano, i cinque poterono osservare gli Agenti entrare nella grande hall del palazzo e ad un occhio esperto come quello di Jacko non potè sfuggire il loro alto profilo, la loro intensa determinazione ed organizzazione indispensabili per portare a termine la missione con successo.

Parte di osservatorio

I cinque pensarono in fretta, essere braccati non permetteva pensieri lucidi, ma non avevano scelta. L’osservatorio era un posto troppo esposto e vulnerabile e se fossero stati loro l’obbiettivo degli Agenti, lì non avrebbero avuto alcuna possibilità di sopravvivenza. Decisero di avventurarsi ai piani residenziali, avrebbero potuto appropriarsi di un appartamento libero e magari nascondersi all’interno. No. Convennero poi che spacciarsi per inquilini di un appartamento già abitato avrebbe permesso loro di passare maggiormente inosservati, pregando di non essere l’obbiettivo di quell’attacco.

Contarono le porte rapidamente, guardarono gli zerbini per farsi un’idea di chi vi abitasse e ne scelsero uno. Jacko era proprio davanti alla porta quando l’uomo, a seguito del campanello, aveva raggiunto l’ingresso domandandosi chi fosse a quell’ora della notte ed il malcapitato non ebbe nemmeno il tempo di comprendere chi o cosa lo avesse colpito. Entrarono. L’appartamento ampio e finemente arredato affacciava sulla piazza, che solo alcuni minuti prima li ospitava tranquillamente seduti sulle panchine, e, lungo l’angolo sinistro, si mostrava un palazzo più modesto. Il ciccione ammantato nella sua vestaglia di seta rossa viveva nel lusso, forse lavorava proprio in quello stesso stabile. Jacko e Misfit si occuparono di chiuderlo nella sua camera da letto, non avevano certo il tempo nè la voglia di occuparsi di lui. Si preoccuparono invece di analizzare possibili punti ciechi, Erick cercava di armarsi con ciò che era a disposizione nell’appartamento, conscio di prepararsi ad un’eventuale colluttazione. Raven e Mark scandagliarono il perimetro delle finestre passando dalla piazza fino al palazzo di fronte, dove notarono qualcosa di inusuale. Un fascio di luce partiva dal centro della terrazza formando un ampio perimetro, come un gigantesco quadrato, che inglobava tutta la piazza e la stessa Freedom Tower.

Gli Agenti erano ormai arrivati al piano e rapidamente incedevano di appartamento in appartamento. Misfit, che era a guardia dell’ingresso, avvisò gli altri. Dopo pochi secondi sentirono bussare alla porta del loro rifugio temporaneo con gli Agenti che intimavano di aprire la porta. Calò il silenzio. Immobili in un incrocio di sguardi, i cinque, cercavano disperatamente di trovare una soluzione. Niente. Un’altra tornata di colpi non diede loro il tempo di organizzare null’altro se non Raven, che facendosi coraggio, annunciò il suo arrivo alla porta. Con mano incerta prese la maniglia, la girò e aprì quel tanto che permise agli Agenti di mostrarle un distintivo, ma fu così rapido che la donna a malapena lesse “Federal” tra le parole.

Gli Agenti non si dilungarono in stupidi convenevoli. Poche parole, rapide, pungenti, dirette e Raven non poté fare altro che farli entrare. Fu scostata di peso contro la parete di destra mentre due di loro avanzavano per il corridoio. Quello entrato per primo aveva già raggiunto l’angolo dove si era appostato Jacko, l’altro divenne a tiro del pugnale di Misfit qualche attimo dopo avergli chiuso la porta alle spalle.

Il braccio del ragazzo saettò verso le reni del suo avversario mentre Jacko assaliva l’altro. Il colpo di coltello fu preciso ma non abbastanza letale. L’Agente mosse incerto qualche passo in avanti, poi sgomitò così forte che Misfit letteralmente volò contro la porta chiusa. Un colpo così duro che lo stordì.

L’ex militare aveva assalito il primo Agente. La presa del suo braccio intorno al collo del suo avversario era salda e forte ma non si trovava davanti ad un poliziotto sprovveduto. L’agente era allenato, preparato ad ogni evenienza e sapeva come contrattaccare. Prese il negro per la maglietta, proprio sulla schiena, e con un movimento di anca sollevando la gamba destra, lo fece roteare in aria e con forza incredibile lo scaraventò schiena a terra infrangendo il tavolino di vetro posto davanti al divano. L’ex Marine, addestrato per simili colluttazioni, non si fece scrupoli a tenere ben salda la testa dell’Agente mentre veniva scagliato a terra. Tirò con così tanta forza che l’energumeno vestito di scuro sbatté violentemente il naso sulla fronte di Jacko. Un colpo tanto duro che l’agente sussultò, barcollò e cadde a terra svenuto.

L’Agente ferito da Misfit osservò la scena e contando i presenti di rese conto che l’unica scelta sarebbe stata una ritirata. Erano troppi da affrontare da solo. Si diresse verso la porta, ma Misfit era ancora lì, proteggendola esattamente come quando giocava come offensive tackle nella squadra di football del college. Erick, osservando la scena, comprese immediatamente cosa avesse intenzione di fare l’Agente e mai gli avrebbe permesso di chiamare rinforzi. Diede un calcio al primo oggetto che si trovò davanti. Un piccolo pouff con delle ruote. Il barista vide correre sul parquet la sua arma di fortuna ma la goffagine di Mark fu d’intralcio e si frappose tra l’oggetto e l’obiettivo cadendo vittima del pouff. L’uomo in nero placcò Misfit ancora intontito sulla porta. Lo sollevò con così tanta forza che la stessa porta venne scardinata e con essa i due si abbatterono contro la parete di fronte. L’urto violento fece attivare il sistema antincendio.

Agenti di Carta

Quando Raven e gli altri arrivarono sulla porta per vedere cosa fosse successo, videro solo Misfit sdraiato a terra, con la testa insanguinata. Dagli altri appartamenti, gli inquilini si riversarono nel corridoio e tutti si diressero verso le scale nel panico.

Raggiunsero l’androne principale, alcuni Agenti in nero aiutarono i presenti ad uscire ma quando davanti a loro la scena si mostrò, solo Erick e gli altri tennero le gambe ben salde. Tutti svennero vedendo le torri crollare proprio davanti a loro. Una scena da mozzare il fiato, da crepacuore. Era così assurdo che non poteva essere vero. Forse l’interno era meglio che l’esterno e furono tentati di rientrare ed affrontare la minaccia che li aveva inseguiti ma quando guardarono nella grande sala, qualcosa di ancora più folle si mostrò ai loro occhi.

Ci vollero diverse scrollate di testa, diversi respiri prima di rendersi conto che tutti gli Agenti che li avevano inseguiti non avevano un aspetto comune. Erano l’uno la fotocopia dell’altro e questo letteralmente. Erano esattamente uguali, avevano tutti le stesse fattezze e per di più erano semplici sagome di carta. L’impossibile era proprio davanti e dietro di loro.

L’antincendio raggiunse anche l’androne. Un forte boato fece voltare tutti i presenti. Una delle torri era completamente collassata. Il fascio di luce fu ciò che attirò Raven ed Erick. Furono loro a suggerire di andare a vedere che cosa generasse quella luce, che cosa fosse realmente. Avrebbe potuto essere in qualche modo collegato, forse era un’ancora di salvezza o forse era la loro unica possibilità di essere scagionati da qualsiasi accusa quegli Agenti federali volevano appioppargli. Corsero fuori, volevano evitare di stare da quelle parti durante il collasso della seconda torre e così raggiunsero il palazzo dove l’uomo stava armeggiando con quello strano proiettore.

Il buio delle scalinate, l’odore di umidità ed il rumore dei loro passi si mischiavano con le grida e le urla di ciò che avveniva fuori, anzi, di quello che avvenne fuori anni prima. La porta della terrazza era aperta, divelta e messa da una parte con la serratura oramai inutilizzabile. Fuori l’aria era pregna di polvere e, proprio dove si aspettavano di vederlo, l’uomo stava trafficando con il proiettore di luce. Da quella posizione si poteva scorgere perfettamente l’area delimitata dal fascio di luce. La figura, per il baccano provocato dai cinque, si volse, indugiò solo pochi attimi e poi corse via, verso il parapetto.

Jacko non voleva perdere quell’occasione e scattò, un secondo troppo tardi per sua sfortuna perché il coltello scagliato da Misfit gli sibilò al fianco dell’orecchio prima di raggiungere l’uomo ammantato di stracci. La lama si conficcò nella schiena dell’essere pochi secondi dopo che questi si era inerpicato sulla balaustra. Un colpo forse non fatale, ma sufficiente a farlo sbilanciare e lanciarlo nel vuoto. Jacko rallentò, da quell’altezza, a meno di un miracolo raramente si può sopravvivere.

Raven e Mark si diressero rapidi verso il proiettore mentre l’ex militare cercava di capire se quel tizio fosse ancora vivo solo guardandolo dall’alto. Erick era per di più di supporto  morale ai due pensatori. In fin dei conti, Raven e Mark, erano un chimico ed un matematico, e con molta probabilità, erano gli unici che avrebbero potuto trovare una soluzione.Non c’era molto tempo; I due scienziati si guardarono negli occhi, non avevano idea di che simboli fossero quelli stampati sul tastierino di quello strano proiettore. Non c’era tempo per studiarli e così seguirono il processo mentale che chiunque avrebbe tentato….Premere tasti a caso.

Jacko era intento ad osservare la scena, Misfit stava aspettando un responso da Raven e Mark, mentre Erick si era appena acceso una sigaretta. Non c’era molto da fare mentre i due stavano armeggiando con quell’oggetto, ma quando il soldato intravide alcuni puntini luminosi sul proprio corpo, sul pavimento e sui suoi compagni sapeva che da lì a poco sarebbero morti. Gridò. Mise tutti in allarme nel tempo giusto da farli muovere. La loro reazione fu tale che i colpi sparati da chissà dove risultassero superficiali anziché letali. Solo quando Raven cadde a terra ferita alla spalla, il grido divenne più dirompente. Il sangue aveva imbrattato l’artefatto, Misfit e Mark si erano già messi al riparo ed Erick si stava premurando di portarla dietro uno dei grossi areatori. I proiettili sibilavano al fianco di Jacko mentre correva in soccorso della sua ex fidanzata, ma nel momento in cui realizzò che l’amico la stava già mettendo al riparo, il suo obbiettivo divenne il proiettore. Gli spari si susseguirono uno dopo l’altro, zigzagò per non dare un punto fisso ai suoi cecchini e solo negli ultimi metri prese ad andare diritto. La spalle gli dolse non appena lui ed il proiettore caddero a terra. Le lampade all’interno si ruppero in un sonoro crack e successivamente la luce cessò di esistere. Negli attimi successivi il soldato si aspettò altri colpi di fucile che non arrivarono mai. Non si udivano più sirene, grida ed esplosioni. Tutta la piazza era piombata nel silenzio della notte newyorkese.

In lontananza le sirene della polizia si potevano udire perfettamente, era tempo di andarsene. Erick e Mark aiutarono Raven. Misfit e Jacko li anticiparono per le scale.

Il marciapiede era imbrattato del sangue del tizio colpito da Misfit con il coltello ancora ben piantato tra le scapole. Il giovane posò un piede sulla schiena dell’uomo ed estrasse con la mano destra la sua arma, un vecchio cimelio di famiglia senza alcun valore. Jacko osservò dapprima da qualche passo, poi si avvicinò e voltò l’uomo che aveva creato così tanti problemi. Restò basito quando scorse il viso. Dietro la tumefazione, il sangue ed il cranio sfondato per la caduta si poteva vedere una pelle diversa, terribilmente bianca, trasparente, come se avesse perso il suo colore. Si chinò verso di lui e notò i denti aguzzi e gli occhi vitrei. Assomigliava ad un rettile. Possibile? Dopo tutto quello che aveva visto quella sera, forse questa non era poi la cosa più assurda, ma Jacko dovette allontanarsi rapidamente da quell’essere per tentare di trattenere i conati. Arrivarono ancheRaven e gli altri, le sirene divennero più insistenti ed Erick suggerì di togliersi di torno. Il suo locale non era molto distante e di Agenti in nero, rievocazioni storiche, spari e rettiliani ne avevano già abbastanza.

Il vento portava con sè il suono delle sirene. I vicoli bui di Manhattan erano il solito putridume a cui si aggiungeva anche il sangue dei cinque. Da lontano, nel buio della piazza, un uomo sorrideva. I sentieri erano stati tracciati, ora bisognava solo stare ad osservare quale avrebbero intrapreso.

The Phonenix

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[otw_shortcode_info_box border_type=”bordered” border_style=”bordered” background_pattern=”otw-pattern-1″]Colgo l’occasione di ringraziare Giulia che mi ha aiutato nella stesura di questo racconto. Correggendolo ed aggiustandolo dove necessario.[/otw_shortcode_info_box]